Jeon Do-youn volto nuovo del cinema orientale, vincitrice
della Palma d’oro come miglior attrice a Cannes nel 2007 è protagonista di una
retrospettiva dei suoi film al Korea Film Fest. Versatile e anticonformista
l’attrice ha risposto alle domande dei giornalisti fiorentini in un incontro
all’interno dello store di Luisa Via Roma.
D: Il riconoscimento a Cannes nel 2007, per quanto
prestigioso, ha comportato un aumento di responsabilità?
R: Sì, un po’ di pressione è normale avvertirla ed è stato
un capitolo importante, ma a me piace andare sempre oltre. È un riconoscimento
di prestigio ma non è un punto d’arrivo, bensì una nuova partenza.
D: Il riconoscimento a Cannes nel 2007, per quanto
prestigioso, ha comportato un aumento di responsabilità?
R: Sì, un po’ di pressione è normale avvertirla ed è stato
un capitolo importante, ma a me piace andare sempre oltre. È un riconoscimento
di prestigio ma non è un punto d’arrivo, bensì una nuova partenza.
D: Il suo esordio come attrice televisiva ha condizionato la
carriera nel cinema?
R: Come in Europa anche in Corea c’è un certo pregiudizio
verso gli attori che hanno esordito in tv. Io ho cercato di affermarmi come attrice
cinematografica sfruttando le capacità che avevo acquisito, come ad esempio
l’improvvisazione.
D: Come vive il divismo?
R: Non penso mai a questo aspetto, vivo una vita molto
semplice coltivando un sentimento di immensa gratitudine per i miei colleghi
attori e per i registi. In Corea i fans creano dei veri e propri idoli con
l’immagine che hanno dei loro beniamini, ma per ciò che mi riguarda, pur
riconoscendo che la celebrità fa parte del mio lavoro, preferisco concentrarmi
su altro.
D: Ci sono temi sociali che le piacerebbe afforntare?
R: Più che la tematica quello che mi interessa è il
significato complessivo di un’opera. Accetto un progetto se lo ritengo
artisticamente valido e con del potenziale, a prescindere dall’argomento che si
propone di trattare.
D: Quali generi cinematografici vorrebbe sperimentare in
futuro?
R: Ho lavorato in 14 film prevalentemente drammatici e mi
piacerebbe cimentarmi nell’action o nella commedia.
D: Cosa pensa dei suoi colleghi connazionali che hanno
iniziato a lavorare in produzioni hollywoodiane?
R: Stimo tutti i miei colleghi che hanno lavorato in
produzioni hollywoodiane, ma non ritengo l’approdarvi una diretta conseguenza
dell’affermazione come attrice. Nel mio caso ci sarebbe oltretutto una barriera
linguistica e recitare è prima di tutto comunicare. Rimane però una possibilità
che non escludo.
R: Cosa pensa del ruolo della donna nel nuovo cinema
coreano?
D: Trovo che i nostri registi ultimamente si siano
interessati sempre di più all’universo femminile, e questo è sicuramente un
cambiamento.
R: Con quale regista europeo le piacerebbe lavorare?
D: Ci sarebbe l’imbarazzo della scelta! (ride)! Ad una festa
ho conosciuto Pedro Almodovar, adorerei lavorare con lui.
D) A quale personaggio tra quelli da lei interpretati è più
affezionata?
R) Davvero difficile rispondere. Un ruolo che mi è rimasto
nel cuore è quello di Happy End di Ji-woo Jung.