Sagace, irriverente e dalla
risata contagiosa. Un Terry Gilliam in forma smagliante ha incontrato pubblico
e giornalisti lo scorso 15 luglio alla terrazza del Teatro Romano di Fiesole
poco prima di ricevere il Premio Fiesole
ai Maestri del Cinema conferito dal Sindacato Nazionale Critici
Cinematografici Italiani. Il regista americano, che ha scelto di vivere e
lavorare in Inghilterra dalla fine degli anni 60 arrivando nel 2006 a
rinunciare alla cittadinanza statunitense, è stato al centro di una tavola
rotonda alla quale oltre al numeroso pubblico di appassionati sono intervenuti
critici cinematografici, intellettuali e artisti della scena fiorentina. Gilliam
ha ripercorso la sua carriera dalla co-fondazione dei Monthy-Pyton nel 1969
fino a The zero Theorem suo ultimo lavoro da regista soffermandosi
sulla sua personale visione del cinema e della realtà.
Anna Antonini,
storica del cinema specializzata in film di animazione ha cominciato proprio
dagli esordi di Gilliam come illustratore: Da sempre lei riesce ad integrare
perfettamente cinema di animazione e cinema dal vero e per molto tempo ha
utilizzato effetti speciali di tipo tradizionale come modellini e trucco per
poi passare al digitale. Come ha mediato questo cambiamento?
T. G.: Non è facile rispondere perché in realtà non mi interrogo molto su come
fare le cose, semplicemente le faccio. È qualcosa di molto pratico: se ho
un’idea la disegno e poi ne discuto con i miei collaboratori. Non c’è nessuna
magia, solo un lavoro molto lungo e a tratti noioso. A questo proposito ritengo
che per un regista sia fondamentale imparare a svolgere tutti i lavori che
devono essere fatti su un set, al fine di comunicare meglio con le altre
persone.
Sergio Staino ha
ricordato l’impatto che l’umorismo dissacrante dei Monthy Python, di cui
Gilliam è stato tra i fondatori e animatori dal 1969, ha avuto sulla satira
contemporanea: La nostra satira, in particolar modo quella politica, deve molto al
lavoro dei Monthy Python. Un film come Il senso della vita ha recuperato un
elemento fondamentale nell’umorismo: la goliardia. Questo gruppo di comici è
riuscito a fare satira sulla nascita, l’amore, il sesso, la morte.
T. G.: Forse è proprio grazie all’influenza dei Monthy Pyton sulla comicità
italiana che un personaggio comico come Silvio Berlusconi ha ottenuto tanto
successo (ride). Il suo umorismo ha
da sempre grande successo in Inghilterra, spesso ci siamo divertiti a ridere di
lui, un po’ meno spesso a ridere con lui.
Claudio Carabba:
Nel
suo cinema ricorre spesso il tema del destino e del libero arbitrio.
T.G.: Mi sembra che il mondo stia diventando sempre più piccolo a causa dei
media, della politica e di un certo pensiero semplicistico. Nei miei film ho
sempre cercato di innescare il meccanismo opposto e di renderlo quindi più
grande incoraggiando la gente ad essere intelligente e a decidere il proprio
destino. Vorrei che gli spettatori vedessero la realtà in modo diverso così da
avere più possibilità di scelta e capire che l’importante è continuare a
combattere per ciò in cui si crede, anche se non sempre si vince.
Riccardo Ventrella: Tra i temi che più mi affascinano nel cinema di Terry Gilliam ci sono
quelli del sogno e del viaggio nel tempo; spesso i suoi protagonisti sono
costretti a porsi delle domande sul mondo in cui vivono. D’altra parte penso
alle difficoltà e alla fatica patite da questo autore nel tentativo di portare
avanti i suoi progetti che sono diventate persino soggetto cinematografico con
Lost in La Mancha (il documentario realizzato da Keith Fulton e Luis
Pepe nel 2002 che racconta il fallimento delle riprese di un adattamento
cinematografico del Don Quixote). Che rapporto c’è tra il sogno e la fatica
nel suo lavoro?
T.G.: Ho passato gran parte della mia vita a convincere i produttori a darmi
dei soldi e il più delle volte non ci sono neanche riuscito (ride). Attualmente si trascorre troppo tempo in
cerca di finanziamenti e troppo poco a girare perchè il sistema sembra aver
paura delle idee interessanti. Succede che purtroppo i film di maggior spessore
si finisce per vederli solo all’interno dei festival mentre i cinema di città
propongono blockbuster hollywoodiani.
Io incoraggio i giovani cineasti a proseguire nel loro
intento di fare il loro cinema, così come lo pensano e lo sognano. Bisogna
essere ossessionati, quasi posseduti, dalla propria idea di cinema.
Edoardo Semmola:
Una figura come quella del Barone di
Munchausen, che si ribella alla logica e alla ragione può sopravvivere nella
contemporaneità?
T.G.: Negli ultimi 20 anni a dominare sono stati dei banchieri tutti molto
razionali ed il risultato è che attualmente stiamo vivendo un periodo di seria
crisi, forse è il momento giusto per scoprire il ridicolo e l’irrazionalità. Si
può essere molto irrazionali e al contempo molto intelligenti.
Augusto Sainati: Il
suo cinema si nutre di spunti che giungono dagli universi più disparati creando
un disordine che diventa incandescente. Qual è il percorso che porta questa
ricchezza di suggestioni alle sue inquadrature così debordanti ma al tempo
stesso ordinate?
T.G. Non credo di
essere un cineasta così bravo in questo senso: parto con delle idee precise e
una sceneggiatura, poi però faccio degli errori girando che tentiamo di
aggiustare nel montaggio. A quello di cui parla lei ci arrivo proprio perché
non sono bravo e commetto degli errori.
Nicola Pecorini amico
e direttore della fotografia da Paura e delirio a Las Vegas fino a The
zero theorem: Lavorare con Terry è come cavalcare un mulo
selvatico. Ha 1000 idee nuove ogni giorno tanto che ho preso l’abitudine di
appuntarmele perché so che un secondo dopo se ne dimenticherà. Dalle sue
contraddizioni poi però nascono le soluzioni. The zero theorem è molto legato
all’universo di internet e alla mancanza di una ricerca di comunicazione fra
gli individui. So che Terry non vuole che se ne parli ancora, io posso solo
dire che c’è un Christoph Waltz straordinario.
Caterina Liverani