Proposto nel corso del Film Middle East Now a Firenze Beirut
Hotel terzo lungometraggio della regista libanese Danielle Arbid presente al cinema Odeon per introdurre la
proiezione.
Produzione televisiva del network Artè la storia si sviluppa attorno ai sentimenti della paura e della paranoia, che, racconta Danielle Abrid, caratterizzano questo momento storico in Libano: «In questa storia la paura ha senza dubbio un duplice significato: paura di amare e di confrontarsi con qualcuno di molto distante, ma anche paura per la situazione politica che io definisco, anche nel film, come potenzialmente “vulcanica”.
Produzione televisiva del network Artè la storia si sviluppa attorno ai sentimenti della paura e della paranoia, che, racconta Danielle Abrid, caratterizzano questo momento storico in Libano: «In questa storia la paura ha senza dubbio un duplice significato: paura di amare e di confrontarsi con qualcuno di molto distante, ma anche paura per la situazione politica che io definisco, anche nel film, come potenzialmente “vulcanica”.
Cerco di dare a tutti i miei film una componente fortemente
realistica, di rappresentare cioè quello che io vedo e Beirut Hotel in particolare
è il mio sguardo sulla città.»
Danielle Abrid |
In un locale notturno di Beirut si incontrano Zorha (Darine Hamze),
una cantane di piano bar separata dal marito, e Mathieu (Charles Berling)
maturo avvocato francese di passaggio in Libano per concludere un affare per una
società di telecomunicazioni. I due intrecciano una relazione che sembra andare
al di là di un incontro occasionale.
Mathieu, che sta divorziando dalla moglie con la quale ha un
figlio di 5 anni, riceve la visita di Abbas, un vecchio amico e collaboratore
che gli chiede aiuto per essere messo in contatto col governo francese dal
quale vuole ottenere asilo politico in cambio in informazioni. L’uomo si trova
suo malgrado coinvolto in un affare politico riguardante alte sfere dei servizi
segreti libanesi che si mettono sulle sue tracce spiandolo e seguendolo,
facendolo sentire in trappola.
Beirut
Hotel si rivela un brillante film in bilico tra romanticismo e
spionaggio che coglie in pieno la situazione di precarietà emotiva,
sentimentale e politica della città e di coloro che vi abitano o che
semplicemente ne sono ospiti timorosi ma sedotti.
La relazione fra Mathieu e Zorha, carnale, torrida è uno struggente contrappunto al fascino di Beirut, la città in cui tutti hanno paura come se fossero seduti sull’orlo di un vulcano, fotografata nei suoi numerosi volti: dagli eleganti locali notturni dalle architetture moderne, ai quartieri popolari, dalle stanze d’albergo agli interni dell case borghesi.
La relazione fra Mathieu e Zorha, carnale, torrida è uno struggente contrappunto al fascino di Beirut, la città in cui tutti hanno paura come se fossero seduti sull’orlo di un vulcano, fotografata nei suoi numerosi volti: dagli eleganti locali notturni dalle architetture moderne, ai quartieri popolari, dalle stanze d’albergo agli interni dell case borghesi.
Terminata la proiezione Danielle Arbid ha condiviso con il
pubblico dell’Odeon il racconto dei gravi problemi legati alla censura che in
Libano hanno vietato la circolazione di Hotel Beirut e che la hanno spinta a
tentare una causa legale: «Mi avevano imposto di eliminare delle scene parti
integranti della narrazione e senza le quali il film non avrebbe avuto senso, e
paradossalmente erano tutte sequenze che riguardavano la parte politica del
plot e non le scene di sesso. Ho rifiutato la censura e ho avviato una causa. È
la prima volta che un regista in Libano compie una scelta del genere, la
sentenza sarà espressa tra un anno.»
A proposito di come la città di Beirut è percepita e vissuta: «La
guerra non è mai completamente finita, permane una sensazione di guerra fredda
che certamente non impedisce di godersi una bella serata o una vacanza, ma che
fa avere costantemente paura, ed è la stessa paura che provo anche io ogni
volta che torno in Libano. La mia è una terra nella quale esiste una sorta di
bipolarità nei suoi abitanti: c’è che guarda verso la Siria e chi invece si
vuole avvicinare agli Stati Uniti.
Beirut
Hotel ha suscitato reazioni sicuramente contrastanti. Dopo il passaggio
su Artè, il network che lo ha prodotto, è stato erroneamente considerato come
fortemente provocatorio, quando la provocazione era davvero l’ultima delle mie
intenzioni nella realizzazione.»
Sulla figura di Zorha, perfetto simbolo di giovane donna
mediorientale moderna che adotta un abbigliamento che celebra la sua
femminilità, lavora col suo talento e la sua bellezza e vive l’amore e la
sessualità in modo libero, Arbid precisa: «In realtà Zorha è una ragazza come
ce ne sono tante in Libano. In Europa si tende ad avere un’idea un po’ falsata
sulla condizione delle donne libanesi, che in realtà sono molto libere ed emancipate.
Il divorzio, ad esempio è possibile dagli anni 70 ed è una realtà piuttosto
diffusa.
Il mio cinema non si nutre mai completamente di finzione. Beirut
Hotel è sì una fiction ma racconta però la situazione reale del Libano
oggi, queste atmosfere contradditorie sono la realtà.»