lunedì 25 marzo 2013

Fukushame, Il Giappone perduto




Un documentario per raccontare la reale condizione di coloro che sono stati colpiti più da vicino dal disastro di Fukushima, per indagare le responsabilità del Governo giapponese analizzando i pericoli e i rischi vissuti tutt'ora dagli abitanti delle zone circostanti. Il regista Alessandro Tesei, arrivato fino a quasi un  km dalla centrale nella no-go zone grazie ad un gruppo di animalisti, racconta il post Fukushima in Fukushame, Il Giappone perduto, presentato in anteprima al Cinema Portico di Firenze da Matteo Gagliardi montatore e co-autore e dalla produttrice Christine Reinhold.

Matteo Gagliardi: Quando Alessandro è tornato portandomi questo materiale mi sono sentito subito molto colpito. Abbiamo cominciato a lavorarci cercando una chiave narrativa che fosse il più obbiettiva possibile. Per fortuna al nostro progetto si sono avvicinate delle felici maestranze, anzitutto Christine Reinhold, produttrice e Pier Paolo Mitti il fotografo che per primo è riuscito a penetrare la zona proibita e che in seguito ha fatto da tramite ad Alessandro; è lui l'autore delle foto in bianco e nero che arricchiscono il film



Christine Reinhold: Non volevamo essere noi a fare della denuncia, ma raccogliere le testimonianze delle persone coinvolte, raccontare la loro percezione del pericolo. Quello che è cambiato per il popolo giapponese è l'idea di sicurezza, una cosa molto grave ed estremamente disorientante per un popolo che aveva avuto sempre grande fiducia nel proprio governo.

In passato mi sono occupata molto di teatro e trovo che il documentario sia una forma di comunicazione che gli somiglia molto, perché in entrambi i casi ciò che si vede è reale.

Per Fukushame abbiamo lavorato come per un mosaico, aggiungendo pian piano che il progetto si sviluppava degli inserti che aiutassero a capire ciò che si intende realmente quando si parla di nucleare. L'avere pochi mezzi ha fatto sì che alcuni nostri amici abbiano contribuito con la loro musica e la loro voce per il doppiaggio.
Siamo felici del taglio che abbiamo dato al nostro progetto e del risultato finale. Attualmente stiamo lavorando ad un nuovo documentario che racconterà Milano, ma vista da una prospettiva differente.

Matteo Gagliardi: Non credo che il nostro interesse per il filone ambientalista si esaurirà con Fukushame poiché ormai siamo entrati profondamente in contatto con nuove realtà e all'interno di una rete sempre più estesa sul fronte del benessere comune.

Per la colonna sonora abbiamo scelto delle tracce degli Otolab, un gruppo milanese di musica elettronica d'avanguardia, una scelta molto apprezzata il termini di resa emotiva, anche se i puristi del documentario l'hanno giudicata come una forzatura del pathos in alcune sequenze. Personalmente invece credo che sia un tipo di musica in grado di riprodurre il suono delle radiazioni. Una alternativa al silenzio, che purtroppo è un tratto caratteristico della zona che abbiamo raccontato, dove ormai non c'è più niente in grado di generare rumore.



Un aspetto decisamente macabro che Alessandro ha notato nel suo ultimo viaggio in Giappone riguarda proprio la musica: nelle città abbandonate il governo ha installato un sistema di filodiffusione che trasmette solo musica pop giapponese, una immagine davvero spettrale.
Adesso stiamo lavorando ad un'appendice da inserire al documentario, nella quale inseriremo anche questo materiale e approfondiremo i provvedimenti che sta prendendo il Governo. Personalmente trovo assurda la decisione di raschiare via i primi 10 cm di terreno per metterli in grossi sacchi che vengono sotterrati. Da un'indagine più approfondita è risultato che purtroppo non si tratta nemmeno di un intervento di bonifica, ma semplicemente di un modo di fornire un'occupazione agli abitanti.



Un grande contributo ci è stato dato anche da Pio d'Emilia, un giornalista che è stato davvero in prima linea per raccontarci il dramma dello tzunami, anche con il suo libro Lo Tzunami nucleare.



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