mercoledì 30 maggio 2012

THE BEAUTY AND THE BIO Dai brand da s.p.a a quelli da drugstore la cosmetica del futuro è sempre più biologica e certificata. Uno sguardo sull’ecopensiero alla radice della bellezza sostenibile.


Un tempo per curare la pelle e mantenerla candida si usavano impacchi a base di argilla, mollica di pane e latte d’asina, e per creare ombretti e texture si polverizzavano pietre rare e si le si mescolavano con oli vegetali.







Dopo secoli di ricerca cosmetica tesa a creare prodotti che garantiscano ottime performance sfruttando ogni tipo di tecnologia derivante dall’architettura, dalla fisica e dalla più sofisticata medicina estetica, oggi la tendenza sembra decisamente orientata verso la riscoperta della cosmesi naturale.

Una vera e propria bio-revolution, frutto di una migliore informazione da parte di consumatori sempre più consapevoli ed esigenti  che cercano le loro informazioni navigando in rete e studiando gli inci dei prodotti con sempre maggiore curiosità. Un nuovo orientamento nell’universo della cosmesi che parte dal concept di un prodotto fino ad arrivare a packaging.



L’industria della bellezza sostenibile comincia la sua ascesa dai nuovi criteri di produzione: stabilimenti che abbiano come linee guida il risparmio di acqua e di energia, che si impegnino ad utilizzare materie prime provenienti da fonti rinnovabili e da coltivazioni effettuate senza l’utilizzo di fertilizzanti chimici e pesticidi sintetici. Simbolo di tutti nuovi criteri eco-friendly Aveda, lo storico brand fondato ne 1978 che ha adottato una politica produttiva ad impatto zero con auto aziendali ecologiche per i suoi dipendenti, utilizzo esclusivo di materiali riciclati e riciclabili e adozione di energie alternative all’interno degli stabilimenti.



L’industria della bellezza sostenibile comincia la sua ascesa dai nuovi criteri di produzione: stabilimenti che abbiano come linee guida il risparmio di acqua e di energia, che si impegnino ad utilizzare materie prime provenienti da fonti rinnovabili e da coltivazioni effettuate senza l’utilizzo di fertilizzanti chimici e pesticidi sintetici. Simbolo di tutti nuovi criteri eco-friendly Aveda, lo storico brand fondato ne 1978 che ha adottato una politica produttiva ad impatto zero con auto aziendali ecologiche per i suoi dipendenti, utilizzo esclusivo di materiali riciclati e riciclabili e adozione di energie alternative all’interno degli stabilimenti.



Non solo creme e sieri, ma anche il make up mescola sempre di più agli ingredienti tradizionali formule di derivazione naturale proponendo mascara (un tempo una semplice mistura di vasellina e polvere di carbone) arricchiti di complessi vitaminici derivati del rosmarino (Sumtuosus Extreme di Estée Lauder), cere ricavate dalle foglie di palma che rinforzano e favoriscono la crescita delle ciglia e coloranti naturali (Volumizzante Experience di Max Factor), rossetti con formule arricchite di lievito biologico per stimolare la produzione di collagene (Shimmering Rouge di Shiseido), basi pre-trucco con meno siliconi e più estratti di arance e ginko per tonificare la pelle del viso (Istant Glow di Shu Uemura) e smalti per unghie a base di ingredienti naturali e minerali (Ultra-Lavande Le Vernis n. 359, pure lavande di Lancome.)






Già molte le case cosmetiche che incoraggiano i clienti a riportare negli store le confezioni vuote dei prodotti utilizzati premiandoli con omaggi (politica adottata dall’inglese LUSH ma anche dalla MAC con il BACK TO MAC) altri brand stanno lentamente rivoluzionando il concetto stesso di packaging sempre più spesso ridotto all’essenziale, realizzato con materiali riciclati e decorato con  inchiostri ricavati da oli vegetali biodegradabili (Garnier e Nivea).

Performance impeccabili, resistenza e qualità ma con un occhio rigorosamente spalancato sul rispetto della natura e la salvaguardia del benessere degli animali: questo ciò che oggi chiediamo, e sempre più spesso otteniamo, dai cosmetici di nuova generazione che si dimostrano all’altezza delle esigenze di una clientela consapevole e informata che ha fatto dell’eco-pensiero uno stile di vita.






venerdì 18 maggio 2012

Succede a Firenze # 3 GIULIANO MONTALDO






Giorni fa ho avuto il privilegio di assistere ad un incontro con il regista, attore, sceneggiatore Giuliano Montaldo. Completo grigio, cravatta e pochette rossa, lo stile di una volta ed un'ironia pungente e attuale. Gentile, disponibile e molto brillante Montaldo, classe 1930, ha intrattenuto il pubblico dell'Auditorium Stensen dopo la proiezione dei suoi 2 ultimi film: I demoni di San Pietroburgo (2008) e l'Industriale (2011). L'occasione è un'interessante rassegna su Cinema e Lavoro, 2 temi indubbiamente di grandissima attualità.

"Ricordo quando da giovane girai qua a Firenze, come attore, Cronache di amanti nel ruolo del pizzicagnolo di via del Corno ridoppiandomi da solo, ammetto, con parziale successo (ride). La mia ragazza, che di lì a poco sarebbe diventata mia moglie dopo avermi vista al cinema mi disse 'sei un cane!' Racconta ridendo il regista di Giordano Bruno e Sacco e Vanzetti.

A Prato con Pontecorvo girammo Giovanna sull'occupazione di una fabbrica tessile, e sempre a Firenze invece ho girato parte di Giordano Bruno.


Non rivedo mai i miei film per non soffrire. Vedete, il vero produttore di un film dovrebbe essere il Padreterno, perché non sapete quante volte succede che sul momento di girare una scena gridi: Motore, Azion... e comincia a piovere, così quella che doveva essere una bella scena girata in esterna diventa un buco in interno.


Gli occhiali d'oro 1987

Ecco, quando rivedo questi momenti sullo schermo mi viene sempre da piangere, e io non voglio piangere!

I demoni di San Pietroburgo e L'Industriale vengono dopo una lunga pausa, durata venti anni.

Sono stato fermo così a lungo a causa di un fallimento. Racconta schiettamente Montaldo: Nel 1989 ho girato Tempo di uccidere tratto dal bellissimo libro di Ennio Flaiano.


Avevo fatto i sopralluoghi in Etiopia in un momento molto difficile perché era in corso la guerra fra etiopi ed eritrei. Ricordo che, a testimonianza della permanenza degli italiani da quelle parti trovai dei camion ancora perfettamente in funzione. L'ambasciatore italiano mi fece sapere era pericoloso girare un film in Etiopia soprattutto per attore e regista. Il protagonista era Nicolas Cage e appena il suo agente seppe di questi rischi si tirò immediatamente indietro. I contratti però erano già pronti finimmo in Kenia, dove, siccome era appena stato girato un film holliwoodiano ad alto budget i costi erano altissimi e quindi siamo andati nello Zimbawe.
Tutto quel girovagare mi aveva svuotato, era come se avessi programmato di girare un film ad Helsinki e fossi finito a Marrakech. Avvertii un profondo malessere che malgrado l'affetto e la solidarietà della troupe, di protrasse fino alla fine delle riprese.


Che un autore debba sopportare tutto questo è davvero crudele, e lo è ancora di più se si pensa che il nostro mestiere è davvero molto precario. Nel cinema spesso si fa caso solo ai compensi milionari delle star ma ci sono anche tante maestranze e quando finisci un film non sai mai se e quando potrai fare il prossimo, e allora vai in giro come un accattone (come ci definì Brunetta). Dopo questa esperienza ho avuto la fortuna di dedicarmi all'opera lirica curando diversi allestimenti e sono stato presidente di Rai Cinema vivendo finalmente l'avventura dall'altra parte. Nei colleghi che ho cercato di aiutare spesso rivedevo me stesso, ma in quei 5 anni non ho scattato neanche una fotografia.

Durante la mia carriera ho sempre cercato di fare film che comunicassero la mia sofferenza nei confronti dell'intolleranza e penso che Sacco e Vanzetti, Giordano Bruno e Gli occhiali d'oro identifichino bene il mio punto di vista.

Sacco e Vanzetti (1971)



Gli occhiali d'oro (1987)

Di solito vengo a sapere che è passato in tv un mio film dal mio garagista: "Dottor Montaldo, ieri sera ho visto Il Giocattolo con Manfredi, che bel film!" oppure "Hanno dato Sacco e Vanzetti, lo sa che mi sono emozionato!" e ancora "Dottore, che scena quella in cui Giordano Bruno va al rogo!". Quando io gli chiedo a che ora li abbia visti la sua risposta varia da le 3, le 3,30 e le 4. Ebbene sì, i miei film li trasmettono a quell'ora, ma quello che mi rende felice è che almeno non sono interrotti dalla pubblicità.

La fatica e la gioia del mestiere sono affidate emblematicamente ad un ricordo delle riprese fiorentine di Giordano Bruno: Quasi tutti i luoghi di culto ci erano stati vietati, ma il sacerdote titolare della chiesa di San Lorenzo ci dette il permesso di girare nelle Cappelle Medice. Gian Maria Volontè, da sempre preso dalle sue battaglie politiche mi aveva riempito il set di comparse cilene.


L'ultimo giorno delle riprese prima della pausa di Pasqua era venerdì Santo ed eravamo tutti in agitazione perché avevamo premura di finire, Gian Maria venne da me con un anziano signore cileno chiedendomi di trovargli qualcosa da fare sul set. Aveva un viso interessante perciò lo usai come comparsa nel ruolo di un cardinale, quindi lo faccio vestire di rosso e gli faccio mettere una croce dorata.


Durante una pausa dalle riprese questo signore si allontanò vestito da cardinale e cominciò a impartire finte benedizioni a tutti i sacerdoti e le suore che incontrava. Il monsignore che ci aveva aperto le porte delle cappelle medice se ne accorse, lo accompagnò ad una scalinata e lo mandò via con un gran calcio nel sedere, poi venne da ma, comprensibilmente arrabbiatissimo e mi disse di sgomberare. Allora andai da lui nel suo ufficio terrorizzato, balbettando 3 o 4 cose che avevo imparato da chierichetto e dicendoli che se non mi faceva finire probabilmente avrei avuto un infarto, proprio là davanti a lui. Lui si impietosì e mi disse: "vada giù, finisca, e non si faccia più vedere!". Ma noi invece ci siamo rivisti, io andai a trovarlo e ci abbracciammo.

A proposito de L'Industriale, ultima fatica del regista ligure con protagonisti Pierfrancesco Favino e Carolina Crescentini, presentato all'ultima Festa del Cinema di Roma che racconta la storia della crisi umana e professionale di un imprenditore torinese che vede a rischio la sua azienda: Il film lo abbiamo pensato verso la fine del 2010 e di certo non immaginavamo che quel mare mosso diventasse questo tzunami terrificante.



Quello che dico sempre dopo tutte le proiezioni di questo film è che adesso siamo in una fase di vero e proprio "sboom" economico. In questi momenti ricordo un'immagine di mia madre e di mio padre durante la guerra abbracciati davanti alla nostra casa distrutta dopo un bombardamento. Le bombe non sceglievano tra ricchi e poveri, noi ci eravamo nascosti in un rifugio e al nostro ritorno avevamo trovato solo macerie. In quel momento gli italiani si sono rimboccati le maniche tutti insieme e ce la hanno fatta. Adesso dobbiamo farcela di nuovo, forza Signori, diamoci da fare!

mercoledì 9 maggio 2012

Succede a Firenze # 2 Zitti e Mosca (il libro)


Non parlo spesso di cinema italiano, per la semplice ragione che lo conosco poco e, lo ammetto, forse non sempre cattura la mia attenzione. Ma quando ho saputo che alla Feltrinelli della mia città si sarebbe svolto l' incontro di presentazione del libro sulla lavorazione di un film di tanti anni fa al quale sono molto affezionata non ho potuto resistere. Il film è Zitti e Mosca di Alessandro Benvenuti (1991) e la ragione per la quale mi è particolarmente caro, oltre al fatto che è davvero bello e poetico è che è stato girato proprio nei luoghi dove sono cresciuta.
Insieme agli autori del libro Zitti e Mosca 20 anni dopo Enrico Zoi e Philippe Chellini, sono intervenuti all'incontro Alessandro Benvenuti, regista attento e curioso, ottimo interprete specialmente in teatro e uomo di spessore e Leonardo Pieraccioni il guitto che ormai tutti conosciamo da anni, esuberante ed estroso al quale vanno riconosciuti diversi meriti, in primis quello di aver saputo commercializzare la sua simpatia genuina e spontanea, irrimediabilmente contagiosa.

 La presentazione è stata una occasione per i 2 attori\registi toscanacci doc per parlare del linguaggio del cinema, della paura, degli incontri fortunati e di Alida Valli, ma anche di politica, di Beppe Grillo e delle prospettive future per un cinema di riflessione e non solo di intrattenimento.



Pieraccioni ha iniziato con il raccontare con onestà la sua paura di attore alle primissime armi:
Zitti e Mosca è stato il mio primo film e in un certo senso mi ha aiutato a capire meglio gli attori, e il panico che qualche volta li assale. In quel film io ho letteralmente recitato in apnea, perché ero davvero emozionato dall'idea che stavo partecipando a qualcosa di grosso (avevo esperienza solo di cortometraggi). Mi sentivo come se mi avessero mandato a giocare in serie A.
Riguardando oggi il film mi ricordo di quanto fossi spaventato, questa è una cosa della quale come spettatore non ti accorgi. La mia emozione era terribile ma anche meravigliosa, se mi avessero sparato probabilmente avrei sentito solo il rumore.




Diventando a mia volta un regista ho imparato a riconoscere quando uno dei miei attori ha lo stesso sopracciglio ballerino che ho avuto io sul set di Zitti e Mosca. Durante la lavorazione ho fatto degli incontri importantissimi per me: Massimo Ceccherini, Alessandro Paci.. Eravamo tutti talmente agitati che gli operatori si divertivano a scommettere fra loro se saremmo riusciti a portare a termine un ciak.




Alessandro Benvenuti è intervenuto sull'ansia da prestazione di Pieraccioni: Credo che la tensione nella recitazione di Leonardo abbia dato spessore al suo personaggio che aveva una complessità rispetto a quella degli altri giovani protagonisti. La sua era una situazione intellettuale ed emotiva diversa. Tra l'altro il personaggio interpretato da Leonardo nel film si chiama proprio Pieraccioni. Questa è stata una mia scelta, un atto di fede più che altro, perché quel personaggio gli assomiglia molto, o meglio, assomiglia ad una parte di lui.

 Benvenuti ha poi continuato parlando della partecipazione di Alida Valli, del suo coraggio e della sua professionalità:



Una persona intelligente, umile, disponibile. Una grande donna. Quando iniziammo le riprese aveva un problema di salute: aveva perso temporaneamente la vista da un occhio, nessuno se ne era accorto se non il truccatore, e lei non voleva che si sapesse perché non voleva trattamenti di favore. La sua abnegazione mi colpì moltissimo. Dopo la fine delle riprese è andata in Svizzera per farsi operare.
Si dice sempre che il cinema è fatto di sguardi, e lo sguardo di Alida Valli colpisce ancora tantissimo per quanto è carico di sensualità.


Un film come Zitti e Mosca lo si potrebbe girare certamente anche oggi - ha proseguito Benvenuti- Finchè la Storia va avanti e si ha voglia di interpretarla tutto è possibile, e si continua a fare cinema. Trovo che i film più belli siano quelli che raccontano storie sincere; spesso i più intensi e struggenti vengono da terre che conoscono il dolore, i cambiamenti e anche le guerre, ma soprattutto quelli che raccontano una realtà diversa e che ti fanno capire che esistono altri mondi, altre persone. Se non fosse così esisterebbe solo la parte commerciale del cinema.


Se dovessi fare un film che parla di politica oggi penso che racconterei la storia di qualcuno che torna ad averne passione e che la trasmette ad altri. Sarebbe interessante fare per esempio un film su Beppe Grillo che indagasse quello che lui fa e perché ha deciso di farlo, ma anche un film sulla Lega, o sull'odio che le persone hanno sviluppato verso i politici. Analizzare cinematograficamente queste cose potrebbe essere davvero utile. Forse proprio la politica è uno dei pochi temi rimasti veramente attuali per il cinema in Italia.
Questo è un momento molto difficile, ma è nei momenti brutti che l'arte è più bella e viene meglio.


Enrico Zoi e  Philippe Chellini hanno parlato di Zitti e Mosca 20 anni dopo libro edito da Romano Editore sulla lavorazione del film del 1991:



 Nel libro si parla di amicizia e di cinema e ci siamo divertiti moltissimo a scriverlo - ha spiegato Enrico Zoi - Durante la stesura abbiamo guardato molte volte Zitti e Mosca, sia da soli che insieme, rendendoci conto di quanto "cinema", inteso come volontà di raccontare una storia, ci sia in quel film. 
La mia passione per il cinema di Alessandro è nata un giorno di tanti anni fa quando girando per Firenze mi sono imbattuto nelle riprese di A Ovest di Paperino. Conoscevo già i Giancattivi perché li avevo visti alle Feste dell'Unità e mi erano sempre piaciuti. 




In seguito in tutti i film di Alessandro ho sempre riscontrato una grande umanità, la volontà di sperimentare e di trovare sempre nuove strade.


Alessandro Benvenuti ha concluso con una riflessione sul vero senso del lavoro di ricostruzione filologica e affettiva operata da i due autori: Nel libro si cerca di capire veramente che cosa sia un film, andando al di là del gusto personale ed in questo caso dell'ideologia politica. Philippe ed Enrico hanno capito e messo in luce che quando si fa del cinema di casuale non c'è mai niente, ma ciò che si vede sullo schermo è la costruzione del pensiero di una persona. Ci vuole volontà e coraggio per capire cosa c'è davvero nella mente di un altro, e non solo quello che ci piacerebbe che ci fosse. Questo significa vivere  non distrattamente.