sabato 20 luglio 2013

INCONTRO CON TERRY GILLIAM (prima parte)




Sagace, irriverente e dalla risata contagiosa. Un Terry Gilliam in forma smagliante ha incontrato pubblico e giornalisti lo scorso 15 luglio alla terrazza del Teatro Romano di Fiesole poco prima di ricevere il Premio Fiesole ai Maestri del Cinema conferito dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Il regista americano, che ha scelto di vivere e lavorare in Inghilterra dalla fine degli anni 60 arrivando nel 2006 a rinunciare alla cittadinanza statunitense, è stato al centro di una tavola rotonda alla quale oltre al numeroso pubblico di appassionati sono intervenuti critici cinematografici, intellettuali e artisti della scena fiorentina. Gilliam ha ripercorso la sua carriera dalla co-fondazione dei Monthy-Pyton nel 1969 fino a The zero Theorem suo ultimo lavoro da regista soffermandosi sulla sua personale visione del cinema e della realtà.


Anna Antonini, storica del cinema specializzata in film di animazione ha cominciato proprio dagli esordi di Gilliam come illustratore: Da sempre lei riesce ad integrare perfettamente cinema di animazione e cinema dal vero e per molto tempo ha utilizzato effetti speciali di tipo tradizionale come modellini e trucco per poi passare al digitale. Come ha mediato questo cambiamento?
T. G.: Non è facile rispondere perché in realtà non mi interrogo molto su come fare le cose, semplicemente le faccio. È qualcosa di molto pratico: se ho un’idea la disegno e poi ne discuto con i miei collaboratori. Non c’è nessuna magia, solo un lavoro molto lungo e a tratti noioso. A questo proposito ritengo che per un regista sia fondamentale imparare a svolgere tutti i lavori che devono essere fatti su un set, al fine di comunicare meglio con le altre persone.

Sergio Staino ha ricordato l’impatto che l’umorismo dissacrante dei Monthy Python, di cui Gilliam è stato tra i fondatori e animatori dal 1969, ha avuto sulla satira contemporanea: La nostra satira, in particolar modo quella politica, deve molto al lavoro dei Monthy Python. Un film come Il senso della vita ha recuperato un elemento fondamentale nell’umorismo: la goliardia. Questo gruppo di comici è riuscito a fare satira sulla nascita, l’amore, il sesso, la morte.
T. G.: Forse è proprio grazie all’influenza dei Monthy Pyton sulla comicità italiana che un personaggio comico come Silvio Berlusconi ha ottenuto tanto successo (ride). Il suo umorismo ha da sempre grande successo in Inghilterra, spesso ci siamo divertiti a ridere di lui, un po’ meno spesso a ridere con lui.


Claudio Carabba: Nel suo cinema ricorre spesso il tema del destino e del libero arbitrio.
T.G.: Mi sembra che il mondo stia diventando sempre più piccolo a causa dei media, della politica e di un certo pensiero semplicistico. Nei miei film ho sempre cercato di innescare il meccanismo opposto e di renderlo quindi più grande incoraggiando la gente ad essere intelligente e a decidere il proprio destino. Vorrei che gli spettatori vedessero la realtà in modo diverso così da avere più possibilità di scelta e capire che l’importante è continuare a combattere per ciò in cui si crede, anche se non sempre si vince.

Riccardo Ventrella: Tra i temi che più mi affascinano nel cinema di Terry Gilliam ci sono quelli del sogno e del viaggio nel tempo; spesso i suoi protagonisti sono costretti a porsi delle domande sul mondo in cui vivono. D’altra parte penso alle difficoltà e alla fatica patite da questo autore nel tentativo di portare avanti i suoi progetti che sono diventate persino soggetto cinematografico con Lost in La Mancha (il documentario realizzato da Keith Fulton e Luis Pepe nel 2002 che racconta il fallimento delle riprese di un adattamento cinematografico del Don Quixote). Che rapporto c’è tra il sogno e la fatica nel suo lavoro?
T.G.: Ho passato gran parte della mia vita a convincere i produttori a darmi dei soldi e il più delle volte non ci sono neanche riuscito (ride). Attualmente si trascorre troppo tempo in cerca di finanziamenti e troppo poco a girare perchè il sistema sembra aver paura delle idee interessanti. Succede che purtroppo i film di maggior spessore si finisce per vederli solo all’interno dei festival mentre i cinema di città propongono blockbuster hollywoodiani.
Io incoraggio i giovani cineasti a proseguire nel loro intento di fare il loro cinema, così come lo pensano e lo sognano. Bisogna essere ossessionati, quasi posseduti, dalla propria idea di cinema.


Edoardo Semmola: Una figura come quella del Barone di Munchausen, che si ribella alla logica e alla ragione può sopravvivere nella contemporaneità?
T.G.: Negli ultimi 20 anni a dominare sono stati dei banchieri tutti molto razionali ed il risultato è che attualmente stiamo vivendo un periodo di seria crisi, forse è il momento giusto per scoprire il ridicolo e l’irrazionalità. Si può essere molto irrazionali e al contempo molto intelligenti.


Augusto Sainati: Il suo cinema si nutre di spunti che giungono dagli universi più disparati creando un disordine che diventa incandescente. Qual è il percorso che porta questa ricchezza di suggestioni alle sue inquadrature così debordanti ma al tempo stesso ordinate?
T.G. Non credo di essere un cineasta così bravo in questo senso: parto con delle idee precise e una sceneggiatura, poi però faccio degli errori girando che tentiamo di aggiustare nel montaggio. A quello di cui parla lei ci arrivo proprio perché non sono bravo e commetto degli errori.

Nicola Pecorini amico e direttore della fotografia da Paura e delirio a Las Vegas fino a The zero theorem: Lavorare con Terry è come cavalcare un mulo selvatico. Ha 1000 idee nuove ogni giorno tanto che ho preso l’abitudine di appuntarmele perché so che un secondo dopo se ne dimenticherà. Dalle sue contraddizioni poi però nascono le soluzioni. The zero theorem è molto legato all’universo di internet e alla mancanza di una ricerca di comunicazione fra gli individui. So che Terry non vuole che se ne parli ancora, io posso solo dire che c’è un Christoph Waltz straordinario.




Caterina Liverani